Cinquemila persone a Roma, in un corteo lungo e colorato composto da movimenti femministi, collettivi transgender e queer insieme a molte altre realtà e associazioni miste, hanno attraversato le strade del quartiere Pigneto. Partite dal consultorio di piazza dei Condottieri la manifestazione ha raggiunto il reparto di ostetricia e ginecologia del Policlinico universitario della Sapienza.

Obiettivo della manifestazione: rivendicare la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, messa a rischio dal numero elevatissimo di medici obiettori di coscienza nel servizio sanitario pubblico. Questa battaglia vede il movimento delle donne italiane al fianco delle vicine spagnole. Ieri, tutte le iniziative di occupazione, e i cortei italiani, sono stati organizzati a sostegno della campagna spagnola «YoDecido» contro il governo Rajoy. Una campagna che in Italia ha generato la rete delle attiviste «IoDecido». Tra le città italiane dove il movimento ha manifestato – Torino, Firenze, Napoli, Lecce, Roma, Palermo e Catania – si è creata una connessione che ha portato in piazza collettivi, associazioni e movimenti che quotidianamente si battono contro la violenza di genere e per l’autodeterminazione delle donne.

L’obiezione di coscienza dei medici contro il diritto alla libera scelta delle donne sull’aborto è una realtà gravissima in Italia, a tal punto da essere stata sanzionata dal Comitato europeo dei Diritti sociali del Consiglio d’Europa. Sette medici su 10 sono obiettori di coscienza, cifra che sale a 8 per il Lazio dove le donne hanno lanciato una petizione su change.org per chiamare in causa il Presidente della Regione Nicola Zingaretti. Il 1 marzo è partita la campagna «Mai più clandestine» dove le donne chiedono di garantire l’accesso all’Interruzione volontaria di gravidanza in tutti i presidi ospedalieri pubblici e convenzionati. Questi ultimi devono disporre ì di un numero adeguato di ginecologi, anestesisti e personale non medico non obiettori.

La legge 194 affida infatti alle Regioni la responsabilità della sua piena applicazione anche attraverso la mobilità del personale. Un’impostazione ribadita nel luglio 2012 anche dal Comitato nazionale per la bioetica che ha raccomandato «forme di mobilità del personale e di reclutamento differenziato atte a equilibrare, sulla base dei dati disponibili, il numero degli obiettori e dei non obiettori» e controlli «a posteriori per accertare che l’obiettore non svolga attività incompatibili con quella a cui ha fatto obiezione». «La nostra Regione – hanno gridato sotto il policlinico i collettivi romani – è una di quelle con più medici obiettori in tutta Italia. Questo si traduce nell’impossibilità di applicare la 194, una legge che non smetteremo di difendere. È solo l’inizio: obiettori vi seguiremo, vi staneremo, vi tormenteremo!». Una dichiarazione di guerra del movimento femminista romano lanciata contro i medici, gli infermieri, i ginecologi, i farmacisti e tutto il personale sanitario che obietta. Le rivendicazioni sono nette: accesso libero e gratuito all’aborto, in qualsiasi struttura pubblica, per ogni donna, italiana e straniera, con o senza permesso di soggiorno, e in qualsiasi momento. Il movimento intende impegnarsi per conquistare l’effettiva possibilità di scegliere tra l’aborto chirurgico e quello farmacologico. La pillola ru486, inoltre, deve essere disponibile in tutte le Regioni italiane e in regime di day hospital. «Vogliamo l’autonomia decisionale e la partecipazione attiva di ogni donna a tutto il percorso di nascita – hanno ribadito le attiviste – vogliamo la pillola del giorno dopo disponiobile senza ricetta e in tutte le farmacie».

Con slogan del passato e del presente, le donne hanno attraversato le strade periferiche della capitale per riempire di contenuti una giornata, quella internazionale della donna, troppo spesso ridotta a festeggiamenti a base di mimosa. Il corteo, completamente auto-gestito e auto-finanziato, ha affermato la questione politica dell’autodeterminazione femminile e l’ha declinato come principio di una lotta che si sposa con «l’autodeterminazione dei popoli e dei territori».