Sono passati due anni ma sembra un secolo. L’esito del referendum sull’acqua del 2011 è stato tradito. La volontà di 27 milioni di italiani non è stata rispettata e la politica, anche e soprattutto a sinistra, non ha saputo cogliere i frutti di un vasto movimento popolare che avrebbe davvero potuto cambiare il paese e che per una volta aveva vinto. Il Forum italiano dei movimenti per l’acqua però non ha nessuna intenzione di arrendersi. Oggi a Milano si troverà a convegno (Sala Acli, via della Signora 3, dalle 14,30 alle 18,30). Insieme a Federconsumatori ha presentato un ricorso al Tar della Lombardia contro il sistema tariffario imposto dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas (Aeeg). La prima udienza si terrà il 23 gennaio.
L’autorità nel dicembre del 2012 ha fatto rientrare dalla finestra ciò che il referendum aveva cancellato: ovvero il profitto garantito per i gestori. Non solo la ripubblicizzazione dell’acqua non si è avverata (solo Napoli ha provveduto a mettere in pratica il dettato referendario) ma la politica ha cercato di nascondersi sotto la sabbia e ha delegato il lavoro sporco all’autorità. Un ente, l’Aeeg, che si definisce terzo e indipendente ma che di fatto è finanziato non dallo Stato, come avviene in tutto il resto d’Europa, ma dai soggetti gestori. Gli stessi che grazie al sistema tariffario si vedono di nuovo garantito il “diritto” a guadagnare sfruttando una risorsa pubblica e vitale per eccellenza (i dirigenti Aeeg nel complesso hanno un’indennità di servizio di 1,7 milioni l’anno). L’esito di questa operazione va a pesare sui cittadini che dovranno ripagare di tasca propria l’operazione a tutela degli interessi dei gestori. La spesa media per l’acqua di una famiglia di 3 persone è pari a circa 323 euro l’anno, 1,62 euro al metro cubo. Con grosse disparità: a Milano si pagano meno di 100 euro in media all’anno, a Firenze anche fino a 500. Sono tariffe che rientrano nella media Europea: a Berlino un metro cubo costa 4 euro, ma a Stoccarda ne costa 1,37 e ad Amsterdam 1,63. Il modello tariffario dell’Aeeg garantisce il profitto per il 6,4% del capitale investito (prima del referendum era il 7%) sotto la voce “oneri finanziari”. Un semplice cambio di nome per un’operazione di maquillage che tradisce il secondo enunciato del referendum del 2011. Il risultato è che le tariffe aumenteranno in media dal 10 al 20%. E siccome al momento questo sistema è talmente complesso che solo il 30% degli enti locali è riuscito a metterlo in pratica, gli aumenti saranno retroattivi: pagheremo nei prossimi mesi e anni le quote previste ma non applicate nel 2013. E questo nel mezzo della crisi che già adesso fa registrare un aumento delle morosità a cui in alcuni casi i gestori rispondono con distacchi totali dalla rete idrica compiendo un vero e proprio abuso contro i diritti fondamentali dell’uomo. L’Onu riconosce che con meno di 50 litri al giorno non si può vivere.
“Noi chiediamo che i membri dell’Aeeg si dimettano per manifesta incapacità e diciamo che per rispettare il referendum la gestione delle tariffe deve ritornare all’organo politico competente, cioè al ministero dell’ambiente”, spiega Franco Oddi del Forum italiano per l’acqua. La politica infatti, soprattutto dopo la caduta di Berlusconi, ha cercato di lavarsene le mani e ha delegato un tema tanto importante e complesso all’Aeeg. Un modo subdolo per non prendersi direttamente la responsabilità di dare corso all’esito del referendum. Per questo la decisione del Tar avrà una grande valenza politica che va ben al di là delle tariffe e forse anche al di là del tema dell’acqua: è in gioco il rispetto della volontà popolare.
La rete idrica nazionale è malconcia, disperde il 40% di ciò che dovrebbe distribuire. I gestori non hanno interesse a migliorarla perché costa (si stima un spesa necessaria di due miliardi l’anno per i prossimi 30 anni). E’ impensabile che questi investimenti siano pagati solo dalle tariffe dei cittadini. Urge un intervento della finanza pubblica. E poi ci vuole un grande intervento legislativo che regolamenti tutto il settore alla luce del referendum. Per questo un gruppo di 200 parlamentari (tutti quelli di Sel, M5S e un parte del Pd) ripresenterà un proposta di legge che finora nessuno ha mai davvero voluto discutere.