Il 13 settembre 1993 Yitzhak Rabin e Yasser Arafat si strinsero la mano durante la cerimonia alla Casa Bianca per la firma degli Accordi di pace di Oslo. Quel gesto fece immaginare ai più ottimisti un futuro in cui i palestinesi avrebbero ottenuto la libertà e la fine dell’occupazione militare israeliana. Ieri 15 settembre 2020, 27 anni dopo quel gesto tra il premier israeliano e il leader palestinese, la firma dell’Accordo di Abramo, che normalizza i rapporti tra Israele, gli Emirati e il Bahrain, ha dimostrato definitivamente quanto fossero ingannevoli le intese raggiunte in segreto in Norvegia. In questi 27 anni i palestinesi hanno ottenuto riconoscimenti sulla carta, sono stati accolti in tante agenzie e organizzazioni internazionali e all’Onu ufficialmente esiste lo Stato di Palestina. Ma ancora oggi restano prigionieri nella loro terra, chiusi in città e villaggi che ricordano i Bantustan, senza alcun prospettiva realistica di ottenere sovranità. In queste ore presunti esperti si affannano a spiegare su media-megafoni che i palestinesi «stanno perdendo un altro treno». Ma ai palestinesi è stato sempre offerto, da Oslo in poi, lo stesso o poco più di quanto Donald Trump propone nel suo piano: uno staterello-fantoccio sotto il controllo di Israele in qualche porzione di Cisgiordania. Con Gaza isolata, prigione per gli islamisti di Hamas e i suoi 2 milioni di abitanti. Prendere o lasciare.

 

Evocava, non a caso, un nuovo Medio oriente ieri Donald Trump. «È l’alba di un nuovo Medio Oriente…Siamo qui per cambiare il corso della storia», ha detto sotto lo sguardo compiaciuto del premier israeliano Netanyahu e i sorrisi stampati sul volto del ministro degli esteri emiratino Abdullah bin Zayed Al Nahyan e di quello del Bahrein Abdullatif bin Rashid Al-Zayan. Ed è vero, sta nascendo un nuovo ordine regionale. Non è stata fatta la pace, come si è detto banalmente, tra Israele, Emirati e Bahrain. Abu Dhabi e Manama non sono mai state in guerra con lo Stato ebraico, hanno sempre avuto con esso, specialmente negli ultimi anni, relazione strette e una ampia collaborazione, specie nell’intelligence. Solo che si è svolta dietro le quinte. Più concretamente sta sorgendo un sistema regionale in cui le monarchie arabe sunnite riconoscono la superiorità economica, militare e strategica di Israele che ne diventa di fatto il difensore davanti al nemico comune, l’Iran. Israele sgraverà, in parte, Washington della responsabilità avuta per decenni di proteggere i ricchi alleati nel Golfo.

 

Nella pax americana i palestinesi non contano nulla, sono un tassello che non appartiene al mosaico. Perché hanno il torto di reclamare ancora i loro diritti sanciti da una infinità di risoluzioni internazionali. «Gli accordi ci permetteranno di stare a fianco del popolo palestinese e di aiutarlo nel loro sogno di uno stato indipendente…grazie per aver deciso di mettere fine all’annessione (a Israele) dei territori palestinesi», ha proclamato solenne Abdullah bin Zayed Al Nahyan rivolgendosi a Netanyahu. Per l’analista ed esperta di diritto internazionale Diana Buttu «Rinunciando alla condizione del ritiro di Israele dai territori palestinesi occupati (nel 1967), Emirati, Bahrain e i paesi che si uniranno a loro, si adeguano alla linea dell’Unione europea: faranno affari e tanti programmi insieme a Israele e ogni tanto ci ricorderanno che i palestinesi hanno dei diritti».

 

«Molte nazioni sono pronte» a fare la pace con Israele, «almeno cinque o sei si uniranno molto in fretta», ha annunciato Trump «sono nazioni in guerra ma stanche di combattere», ha detto, senza nominare alcun paese. Ha aggiunto che «Grandi cose accadranno» con l’Arabia Saudita, regno che Trump vuole portare alla normalizzazione con Israele prima delle presidenziali Usa. «Vedrete grande attività. Ci sarà pace in Medio Oriente…Anche Bibi è stanco di guerra», ha proseguito con una risata, riferendosi a Netanyahu. Il premier israeliano cogliendo l’imbeccata ha replicato «Il popolo d’Israele conosce il prezzo della guerra, conosco il prezzo della guerra. Sono stato ferito in battaglia. Un soldato è morto nelle mie braccia. Mio fratello Yoni ha perso la vita salvando ostaggio». Siamo qui, ha aggiunto Netanyahu, «per l’alba della pace, per dare speranza ai figli di Abramo. Questa pace porterà alla fine del conflitto arabo israeliano una volta per sempre».

 

Sul palcoscenico della firma dell’Accordo di Abramo i rappresentanti di Emirati e Bahrain sono stati solo delle comparse accanto ai protagonisti Trump e Netanyahu. Prima della firma degli accordi, il presidente Usa aveva offerto la chiave d’oro della Casa Bianca al leader israeliano. Netanyahu ha ringraziato e forse avrà pensato: l’ho sempre avuta.