Più che una intenzione è un avvertimento. Allo scioglimento dell’Autorità nazionale palestinese minacciato nei giorni scorsi dal presidente Abu Mazen e dal suo entourage, in risposta al fallimento delle trattative con Israele, per primi non credono proprio i palestinesi. Senza dubbio è una soluzione che piace a molti abitanti dei Territori quella di restituire le chiavi della Cisgiordania agli occupanti, mettendo fine a una entità in origine provvisoria (cinque anni) nata il 4 maggio del 1994 per creare le basi dello Stato di Palestina e che sino ad oggi ha svolto solo il compito di “ente locale” e cooperato alla sicurezza di Israele. Ben pochi però ritengono che – davanti alla scadenza del 29 aprile delle trattative con Israele (senza risultati) volute da Washington -Abu Mazen sia abbastanza forte e determinato da prendere la decisione più importante della sua vita politica. Pesano anche le minacce di Israele. «L’Anp ha parlato della propria dissoluzione, oggi parla di unificazione con Hamas. Che decidano: vogliono la dissoluzione oppure la unificazione?», ha tuonato il premier israeliano Netanyahu riferendosi alla ripresa dei negoziati per la riconciliazione tra Hamas e Fatah (il partito di Abu Mazen). «Quando vorranno la pace, che ci informino», ha aggiunto Netanyahu forte delle minacce rivolte ad Abu Mazen dall’Ammistrazione Obama. Poco prima la portavoce del Dipartimento di stato, Jennifer Psaki, aveva messo in guardia i palestinesi dal prendere «misure estreme», facendo intendere che gli Stati Uniti «avrebbero difficoltà» a continuare la cooperazione economica e politica senza l’Anp. In sostanza: non provateci, altrimenti vi lasciamo senza quattrini.

Così ieri il caponegoziatore palestinese Saeb Erekat si è affrettato a minimizzare la minaccia di ridare, dopo 20 anni, all’occupante israeliano l’incombenza di nutrire, curare e istruire la popolazione occupata, così come prevedono le leggi e le convenzioni internazionali. «Nessun palestinese vuole smantellare l’Autorità nazionale…ma le azioni israeliane hanno annullato l’intero ambito giuridico, politico, di sicurezza, economica ed operativa dell’Anp», ha spiegato Erekat. Poi è sceso in campo lo stesso Abu Mazen che, durante uno dei suoi sempre più frequenti incontri a Ramallah con giornalisti e uomini politici israeliani, ha assicurato che i palestinesi sono disposti a proseguire le trattative con Israele anche oltre la scadenza del 29 aprile, a condizione, ha ribadito, che nei prossimi tre mesi siano stabiliti i confini del futuro Stato palestinese e che in quel periodo Israele congeli del tutto le colonie. Prima ancora, ha aggiunto, occorre che Israele liberi 30 detenuti che dovevano essere rilasciati già a fine marzo. Abu Mazen vuole ora tutto quello che Netanyahu gli ha negato per nove mesi.

L’Anp ingrana la retromarcia ma dimentica di avvertire in tempo i media che controlla. Il moderatissimo quotidiano al Quds (Gerusalemme), arruolato alla causa della (finta) intenzione di sciogliere le istituzioni nate 20 anni fa, in risposta all’«arroganza» di Netanyahu e del suo governo, abbia annunciato una riunione su questo tema, nei prossimi giorni, del Comitato esecutivo dell’Olp. «Il messaggio chiaro è che la dissoluzione dell’Anp adesso è una possibilità – ha scritto al Quds – se non durante la prossima seduta del Comitato dell’Olp in altre sedute future. La situazione creatasi è molto pericolosa…deve essere anche un avvertimento per il Segretario di stato John Kerry». In assenza di una reazione adeguata degli Stati e di una risposta positiva da parte di Israele «tutte le opzioni – ha concluso il quotidiano – sono aperte». Aperte ma non troppo.
Intanto ieri sera la delegazione di esponenti di al-Fatah e di altre organizzazioni dell’Olp incaricata di rilanciare la riconciliazione inter-palestinese è giunta a Gaza dove è stata accolta dal capo del governo di Hamas, Ismail Haniyeh, e da uno dei massimi dirigenti del movimento islamico palestinese, Musa Abu Marzuk. Nel campo profughi di Shati, dove risiede Haniyeh, gli abitanti hanno organizzato una manifestazione di sostegno alla riconciliazione nazionale palestinese. Come in passato, nessuno sa quanto siano seri i negoziati appena ripresi.