Tra corsi e ricorsi giudiziari e la politica che più o meno glissa, un fatto è certo: l’Abruzzo non vuole «Ombrina mare 2», piattaforma petrolifera che dovrebbe spuntare, a circa tre miglia dalla battigia, in una zona di straordinaria bellezza, la Costa dei Trabocchi (Chieti). Non vuole che calette e spiaggette, che si stendono tra aranceti, macchie di ginestre, canneti e antiche macchine da pesca – i trabocchi -, diventino la romantica cornice di un ecomostro che da tempo il territorio – tramite le associazioni ambientaliste, i Comuni, la Provincia, i comitati – combatte come può. Non vuole che uno dei lembi più suggestivi del litorale, dove risuonano ancora i versi di Gabriele D’Annunzio e della sua estate di passione con Barbarella, venga svenduto per un pugno di barili di greggio. Ed è un braccio di ferro, anche sofferto e di rabbia, quello intrapreso da anni contro la Medoilgas, la società controllata dall’inglese Mediterranean Oil & Gas, che sta portando avanti il progetto.

Nei giorni scorsi il Tar (Tribunale amministrativo regionale) del Lazio ha respinto il ricorso della multinazionale che si era opposta al ministero dell’Ambiente che disponeva un supplemento di istruttoria, alle autorizzazioni già ottenute, ritenendo che il decreto di compatibilità non potesse essere concesso senza l’Aia (Autorizzazione integrata ambientale). Quest’ultima – secondo i giudici – «costituisce espressione del principio di precauzione stabilito dalla normativa europea, per la tutela dell’ambiente e per la difesa della salute umana, valore che nella gerarchia dei principi costituzionali viene collocato al vertice». Quindi l’Aia è necessaria, ha ragione il ministero, che ha inteso «garantire un livello elevato di protezione generale» per un progetto da più parti ritenuto invasivo e che sta in una zona che, sulla carta, è già Parco nazionale e che è sottoposta a tutela quale «bene culturale primario», in base alla legge della Regione Abruzzo 93 del 1994 che salvaguarda «i trabucchi e il loro intorno, compreso il tratto di mare che concorre a formare il quadro di insieme». La Medoilgas era ricorsa ai giudici amministrativi, perché aveva ritenuto contraddittorie due comunicazioni ricevute del ministero: la prima, dell’ottobre 2012, in cui si diceva che la Via (Valutazione impatto ambientale) non necessitava di Aia anche per non dare luogo a un aggravio procedimentale in contraddizione con le norme sulla semplificazione; la seconda, del luglio 2013, in cui si affermava il contrario. Secondo i giudici, l’atteggiamento del ministro dell’Ambiente dell’epoca, Andrea Orlando, è stato corretto. La sentenza del Tar al momento stoppa «Ombrina». «E rappresenta – dichiara Giorgio Zampetti responsabile scientifico di Legambiente – una battuta d’arresto. Un progetto off shore, che interessa la zona tra Ortona e Vasto (Ch), che non porterà alcun vantaggio, né energetico, né alla popolazione. Il Paese – continua – ha bisogno di una strategia energetica nazionale che punti sulle energie rinnovabili, e non sulle fonti fossili e su risorse, come il petrolio presente sotto il mare che, stando ai consumi attuali, si esaurirebbero in soli due mesi mettendo a serio rischio l’ambiente, le economie dei territori interessati e le acque. È ora di fare scelte coraggiose, a partire dalla revisione del Decreto sviluppo e delle altre norme in vigore, per fermare la corsa all’oro nero nel mare italiano. Le trivelle – evidenzia – minacciano l’Adriatico e il Mediterraneo. Oggi le aree interessate dalle attività petrolifere occupano una superficie marina di circa 24mila chilometri quadrati, una superficie grande come la Sardegna. Per quanto riguarda l’Adriatico centro meridionale – dalle Marche al sud della Puglia – in totale sono circa 10mila kmq le aree interessate da attività di ricerca o richieste delle compagnie petrolifere».

Dice Maria Rita D’Orsogna, ricercatrice, docente alla California State University di Los Angeles, tra i primi a impegnarsi contro il progetto: «Questo risultato dimostra ancora una volta l’importanza di un impegno corale: dopo il Centro Oli di Ortona e la raffineria di Bomba (Ch), è il terzo impianto petrolifero che i cittadini d’Abruzzo riescono efficacemente a contrastare, coinvolgendo anche una fetta importante delle imprese che operano nella regione nel campo agro-alimentare e turistico. Occorre rendersi conto di quanto potere abbiamo come collettività e di usare questo potere per le mille altre emergenze di questa realtà: la bonifica dei fiumi malati e il risanamento del territorio della Valpescara avvelenato dalle discariche e dal disastro del polo chimico di Bussi».

Il progetto «non è compromesso, sono state già avviate le procedure per la richiesta dell’Autorizzazione integrata ambientale», ribatte la Medoilgas, che «per difendere i principi di certezza del diritto nei confronti dei propri azionisti internazionali» annuncia che «si riserva di ricorrere al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar». «Non abbiamo mai pensato di sottrarci alla procedura di Aia», precisa Sergio Morandi, amministratore delegato di Medoilgas Italia.

«La storia di ’Ombrina mare 2’ – spiega Fabrizia Arduini, Wwf Abruzzo – corre in parallelo con quella dell’istituzione del Parco nazionale della Costa teatina. La prima prende avvio nell’agosto 2002, con la richiesta di istanza di ricerca di idrocarburi nel tratto di mare antistante San Vito Chietino, mentre l’iter per la creazione del Parco inizia un anno prima, il 23 marzo 2001».

Per ciò bisogna «perimetrare urgentemente il Parco nazionale della Costa teatina e modificare in Parlamento l’articolo 35 del Decreto Passera: solo in questo modo salveremo l’Abruzzo»: risponde il coordinamento di associazioni e movimenti ’No Ombrina, sì Parco’, secondo cui «ora è necessario chiudere la partita». A fare il punto della situazione sono, tra gli altri, il presidente nazionale del Wwf, Dante Caserta; Francesca Aloisio, di Legambiente; Luca Di Pietro del Fai; il presidente del Wwf Abruzzo, Luciano Di Tizio, e Pasquale Cacciacarne dell’associazione ’Bed&Breakfast’. Ripercorrendo le tappe della vicenda, gli ambientalisti definiscono «paradossale» il fatto che «dopo 12 anni sia il Tar del Lazio a far esplodere fragorosamente la contraddizione tra una politica di tutela e valorizzazione del territorio, come quella prevista con il Parco, e il progetto Ombrina mare, che svilirebbe un tratto di mare e un paesaggio unico con una piattaforma e una raffineria galleggiante. Tutto ciò che hanno fatto fino ad ora in Abruzzo, nei mari del Nord è vietato. Dovremmo chiedere che anche in Italia vengano applicate quelle norme. Lanciamo un appello affinché la politica ponga la parola fine sulla deriva petrolifera che potrebbe avverarsi in Abruzzo a seguito dell’approvazione della Strategia energetica nazionale (Sen), che prevede di trasformare questa regione in distretto minerario».