Giudicandola con il senno di poi si può ora dire che la funzione di Silvio Berlusconi come uomo politico è stata da sempre quella dello “spettro” o, come dicono i francesi, del “revenant”: un’entità immateriale, di per sé insussistente (e secondo un’antica leggenda invisibile allo specchio), qualcosa che dovrebbe essere morto e sepolto ma che torna ossessivamente come percezione illusoria (simile a un’immagine allucinatoria) per il fatto che una componente rimossa del nostro desiderio si ostina a volerlo fare esistere. Di questo meccanismo (largamente inconscio) Berlusconi è egli stesso una vittima. In un paese prigioniero delle proprie contraddizioni storiche e culturali (ma anche di interessi internazionali non proprio limpidi), diventato (a partire dal caso Moro) progressivamente incapace di progettare il proprio futuro, uno spregiudicato uomo d’affari privo di scrupoli si è trasformato nel tempo in un fantasma collettivo: la rappresentazione indiretta più efficace e persistente del desiderio rimosso (ma sempre sul viale del ritorno) di vivere senza alcun rispetto per le regole della comune convivenza, in modo del tutto refrattario alle esigenze altrui. Sotto la pressione di questo ritorno del rimosso (di cui Berlusconi sarebbe legalmente responsabile più o meno quanto un’epidemia di peste per i danni che ha provocato) la normale divisione dei cittadini sul piano politico è stata dirottata nella contrapposizione senza via di sbocco tra sentimenti di attrazione e di repulsione. Un bambino che fa pipì sul tappeto del salotto di casa o dà un bel scappellotto al fratellino adorabile che gli ha rubato l’attenzione dei genitori può essere irritante ma al suo comportamento difficilmente si può negare il fascino che emana da un’immediatezza di sentimenti e di emozioni senza limiti, da una pura voglia di vivere senza freni. Se la stessa cosa la facesse un adulto la nostra reazione sarebbe molto diversa. Si diventa adulti scoprendo che la soddisfazione del proprio desiderio acquista molto in termini di ricchezza d’espressione e di profondità se si impara a socializzare la propria esperienza, a coniugare l’affermazione della propria libertà con il rispetto della libertà di tutti. Il cambiamento di prospettiva si accompagna dalla rimozione di quella parte dei nostri impulsi che è irriducibile alle restrizioni che richiede il buon vivere. La rimozione non elimina la parte autoreferenziale, egoistica di noi: la sottomette all’antinomia della costituzione della nostra soggettività, all’articolazione di due opzioni antitetiche sulla vita – l’amore di sé e l’amore dell’altro – che converte la loro apparente incompatibilità nella condizione necessaria della nostra esistenza. In fondo nulla di molto diverso dal l’articolazione tra l’accelerazione e il freno che rende l’uso delle automobili possibile e soddisfacente. Se nel bambino l’egoismo sfrenato è sinonimo di vitalità, nell’adulto è il segno di una regressione che esprime disadattamento profondo alla vita e incapacità di godersene. Ciò che Berlusconi rappresenta è la paura di vivere che affligge una nazione che non manca né di risorse né di creatività.