Il quadro politico che si è delineato nelle elezioni portoghesi di due giorni fa lascia sul campo una serie di rebus la cui soluzione è tutt’altro che semplice e scevra di conseguenze cruciali per la vita e gli equilibri dei partiti e, a maggior ragione, per il futuro del paese. Delle quattro grandi domande da cui ci si aspettava una risposta – chi avrebbe vinto le elezioni, socialisti o centro-destra; quanto avrebbe preso Chega; se i comunisti del Pcp sarebbero riusciti a portare dei deputati in parlamento e chi avrebbe governato – solo due hanno avuto una risposta definitiva.

FORMALMENTE ha vinto la coalizione di centro-destra Aliança Democratica (Ad) formata da tre partiti (Psd-Partido Social Democrata, destra laica; Cds-Partido Popular e Ppm-Partido Popular Monarquico, i primi due nel gruppo europeo dei Popolari, il terzo fa parte del Movimento Politico Cristiano Europeo). Tuttavia la distanza con i socialisti è molto ridotta: Ad la spunta per soli due deputati e si ferma al 29,49%. Appena un 0,8% in più rispetto ai socialisti (28,66%) e una crescita di soli 200.000 voti rispetto al 2022. Una vittoria di Pirro, perché anche sommando i suoi deputati, 79, con gli 8 di Iniciativa Liberal (5,1%) – un partito progressista sui diritti civili, conservatore sulle questioni economiche – si è ben lontani dalla maggioranza assoluta (115). E poi al conteggio finale mancano ancora i 4 deputati della circoscrizione esteri che potrebbero ribaltare il risultato.

A SINISTRA I SOCIALISTI e i comunisti sono i grandi sconfitti. I primi perdono 500.000 voti e 43 seggi (ne prendono 77); i secondi, fermi al 3,3%, 30.000 voti, perdono due seggi su 6. Il Bloco de Esquerda (4,5%) guadagna 30.000 voti ma rimane stabile a 5 deputati e il Livre (3,3%) – un partito ecologista ed europeista – è l’unica formazione a sinistra a potersi appuntare la coccarda del vincitore, passando da 70.000 a 179.000 voti.

Ma, di fronte al terremoto di domenica scorsa, ha davvero senso mettersi a contare i voti? In fondo basta un dato: Chega, l’unico vero vincitore di questa tornata elettorale, ha guadagnato 700.000 elettori passando da 399.510 a 1.108.764, ossia dal 7% al 18,1% e da 12 a 48 deputati. André Ventura, il suo leader, avvocato, ex seminarista e con trascorsi da commentatore calcistico, è riuscito a convincere e mobilitare parte degli astenuti cronici, rendendosi credibile soprattutto agli occhi dei giovani (per lo più diplomati) con lo slogan «ripulire il paese dalla corruzione e dal degrado».

Combattere la disoccupazione, reintrodurre l’ergastolo, abbassare le tasse e «valorizzare il ruolo della famiglia nella società» sono stati i principali messaggi della sua campagna. Insomma, dietro Chega c’è il paese profondo, il centro sud dell’Alentejo e dell’Algarve, che crede in Ventura: credente, tifoso, lavoratore e nato in un quartiere della periferia di Lisbona. In attesa di analisi più approfondite sulle dinamiche del fenomeno, Ventura sembra riuscito a sfruttare il malessere che covava da anni, generato da vari fattori, come la pressione fiscale portata all’esasperazione negli anni della troika – e poi mantenuta per finanziare la riduzione del debito, il welfare e il salario minimo -, e una crescita economica che si è concentrata quasi esclusivamente sul turismo e sulla speculazione immobiliare.

IN QUESTO QUADRO, la sinistra, nonostante si sia sforzata di promuovere delle politiche progressiste ne esce con le ossa rotte. Cronaca di una sconfitta, prevista forse anche dall’ex premier socialista António Costa, che da qualche mese accusava non a caso la Banca centrale europea di star sbagliando politica monetaria, sostenendo che gli alti tassi di interesse avrebbero pregiudicato sia le condizioni di vita delle famiglie sia la crescita delle imprese. Per concludere, delle quattro domande che si erano poste alla vigilia delle elezioni sappiamo che Chega ha vinto ottenendo un risultato superiore alle aspettative e che i comunisti hanno mantenuto una ridotta rappresentanza parlamentare.

DUBBI, ANCHE SE MINIMI, su quale sia la formazione che ha ottenuto più deputati visto che i risultati dall’estero potrebbero cambiare lo scenario. Ma soprattutto non sappiamo quale sarà la maggioranza che formerà il governo. Infinite le ipotesi che si stanno facendo in questi giorni: maggioranza relativa del centro-destra, maggioranza assoluta delle destre o coalizione di centro. Infine, l’ultima questione che questi risultati sollevano, è il ruolo del presidente della repubblica Marcelo Rebelo de Sousa.

Ci si chiede: valeva la pena sciogliere l’Assembleia da Republica per ritrovarsi con un parlamento zoppo dal quale sarà difficile tirare fuori un governo stabile? Il presidente già oggi inizia le consultazioni politiche, ma occorrerà attendere forse fino al 20 per capire come si orienterà e chi sarà nominato premier.