La sessione del parlamento ucraino sulla crisi, apertasi ieri, ha prodotto due risultati in teoria incoraggianti. Il primo è la revoca delle leggi anti-protesta”, catapultate nell’aula una dozzina di giorni fa e votate senza dibattito. Il secondo coincide con le dimissioni del primo ministro Mykola Azarov. Questo comunque non basta a portare il campo di Yanukovich e l’opposizione a convergere su una via di fuga dal pasticcio in cui il paese s’è cacciato. Si tratterà ancora.

Oggi il parlamento si riunisce nuovamente. Sul tavolo c’è un’amnistia nei confronti di chi ha preso parte alla rivolta. Yanukovich la vincola allo sgombero delle strade e dei palazzi, sia a Kiev che nelle regioni. Tendopoli e occupazioni vanno terminati entro quindici giorni. Arco di tempo che servirebbe a prolungare le trattative e indirizzarle su altri nodi, più rognosi.

Uno è la modifica della costituzione. I tre capi dell’opposizione, il luogotenente della Tymoshenko, Arseniy Yatseniuk, il centrista Vitali Klitschko e Oleh Tyahnybok, guida degli ultranazionalisti di Svoboda, vogliono ridare più prerogative al parlamento e toglierle, ipso facto, alla presidenza. Potrebbe nascere una commissione ad hoc sul tema.

Un’altra faccenda spinosa è la formazione del nuovo governo. Sabato Yanukovich aveva invitato Yatseniuk e Klitschko a farne parte, in uno schema di larghe intese. I due hanno risposto picche. Ieri hanno ribadito che non intendono lavorare a fianco di esponenti del Partito delle regioni di Yanukovich. In effetti la cosa è tatticamente scivolosa. Come ha sottolineato l’economista Volodymyr Dubrovskyi, vicino all’opposizione, stare in un governo di coalizione, con un profilo transitorio, impedirebbe di premere sul pedale delle riforme e porterebbe al logoramento politico. L’alternativa? Potrebbe essere quella di una figura terza al vertice dell’esecutivo. Si vedrà.

La questione più grande riguarda Yanukovich. L’opposizione vuole che le elezioni presidenziali, che dovrebbero tenersi a febbraio del 2015, si organizzino nei prossimi mesi. Prima si vota, più ampie sono infatti le chance di vittoria. Klitschko sarebbe il candidato con più potenziale. Eppure una legge gli impedisce, sulla carta, di presentarsi. È passata lo scorso ottobre e, volendo sintetizzare, prevede che chi ha residenza anche in altri paesi – Klitschko ce l’ha in Germania – non può ambire alla massima carica dello stato. Che anche questo capitolo entri nella trattativa?

La partita si gioca anche a livello internazionale. Ieri s’è tenuto il vertice Ue-Russia a Bruxelles (presente Putin), con un po’ di logico imbarazzo dovuto allo scenario ucraino. D’altronde sono state proprio l’Europa e Mosca, cercando di agganciare l’ex repubblica sovietica, a spaccare gli ingranaggi del paese, abituato a vivere nel “limbo” senza oscillare più di tanto né da una parte, né dall’altra. Saltato l’equilibro è esploso il finimondo. La sensazione è che Bruxelles e Mosca vogliano cercare una soluzione concertata. Ma in questo senso è necessario che la prima riconosca la sensibilità storica, culturale e politica della seconda sulla questione ucraina. La seconda, dal canto suo, deve convincersi che gli Accordi di associazione proposti dalla prima non puntano all’ancoraggio di Kiev a occidente e sono compatibili con l’Unione eurasiatica, lo spazio economico-politico, promosso da Putin, che sta nascendo nell’area post-sovietica. Senza l’Ucraina il progetto resterebbe monco. Anche sul fronte internazionale, insomma, non sarà facile trovare la quadra.

Nel complesso sembrerebbe che la trattativa, se dovesse riuscire, porterebbe a un compromesso che sposterebbe nelle urne la battaglia, senza mettere mano ai problemi giganteschi del paese, dallo strapotere degli oligarchi alla corruzione, alle fratture regionali, tra l’altro (ri)fotografate con nitidezza da questa stessa crisi. Il Partito delle regioni s’è ritirato dall’ovest dei governatorati occupati, ma nei distretti dell’est, dove la proiezione della cultura russa è più forte, le iniziative dei rivoluzionari e dei nazionalisti vengono strozzate. Nel frattempo, in Crimea, si mette al bando Svoboda. Le tensioni restano forti. La calma apparente delle ultime ore, in provincia e a Kiev, non deve ingannare. Nessuno ha tirato ancora buttato giù le barricate.