A pochi giorni dall’apertura del Word Economic Forum (Wef), il ratto delle 230 studentesse di Chibok continua a tenere sotto scacco il governo di Goodluck Jonathan alle prese, da quasi un mese, con proteste di piazza che stanno esacerbando le critiche contro servizi di sicurezza e polizia ritenuti incapaci di un’azione risolutiva per la liberazione degli ostaggi. Con un video di cui è in possesso l’agenzia Afp, il leader di Boko Haram Abibakar Shekau ha rivendicato ieri il rapimento delle scolare e minacciato la loro vendita al mercato.

Il 14 aprile scorso, lo stesso giorno in cui un’autobomba nell’area della stazione degli autobus del Nyanya Motor Park di Abuja ha fatto almeno 70 morti e 124 feriti, durante un raid nell’istituto secondario femminile di Chibok – un paesino dello stato del Borno, nel Nord-Est della Nigeria – 230 ragazze alle prese con gli esami di fine anno sono state caricate su camion spariti lungo il confine con il Camerun. Due settimane dopo, il 2 maggio scorso, un’altra autobomba esplosa nel sobborgo di Nyana, a poca distanza dalla stazione degli autobus di Abuja, ha ucciso 19 persone e ne ha ferite 34.

Ma è soprattutto il sequestro delle 200 ragazze che rischia di mettere a rischio e di eclissare il Word Economic Forum che si terrà ad Abuja per la prima volta dal 7 al 9 maggio prossimo. Una replica regionale del forum di Davos che riunirà politici, imprenditori, leader internazionali e che nelle aspettative del gotha delle classi politiche ed economico-finanziarie dovrebbe evidenziare tutto il potenziale della Nigeria come destinazione di investimenti. Soprattutto alla luce del recente sorpasso con cui il primo produttore di petrolio dell’Africa ha soppiantato il Sudafrica nel ruolo di più grande economia del continente noir.

L’incapacità dell’esercito di prevenire gli attacchi e la mancanza di un solido piano strategico per trovare le ragazze nelle scorse tre settimane ha provocato rabbia e proteste sia nella capitale Abuja sia nel nord-est del Paese. Proteste che, lungi dall’arrestarsi, rischiano di oscurare l’evento d’eccellenza dell’anno – il Wef appunto – in vista del quale le misure di sicurezza prevedono il dispiegamento di circa 6.000 soldati dell’esercito.

L’immagine più eloquente di tutto l’imbarazzo del governo è stata probabilmente quella del presidente Jonathan in media chat televisiva domenica sera; ha cercato di rassicurare promettendo il ritrovamento e la liberazione delle studentesse, ammettendo di non sapere dove siano tenute nascoste. Circa una settimana fa a offrire sostegno nelle operazioni di ricerca erano stati gli Usa che nel 2012 hanno fornito alla Nigeria aiuti finanziari per 20 milioni di dollari in ambito militare e di sicurezza nazionale. Giorni fa era stato invece il Ministro della Finanza Ngozi Okonjo-Iweala, in un appello ai partecipanti, a voler «affermare categoricamente che l’amministrazione del Presidente Goodluck Ebele Jonathan non cederà a questi atti scellerati di terrorismo. Il governo ha preso misure importanti per garantire un forum sicuro».

Rassicurazioni che non hanno convinto tutti i delegati della capacità delle autorità nigeriane di far fronte con successo alle minacce del gruppo islamico Boko Haram, le quali pesano al momento come una spada di Damocle sulla realizzazione del forum. Tanto che Fernando de Sousa, General Manager di Microsoft Africa Iniziative, ha cancellato il suo viaggio «per ragioni di sicurezza dopo gli attentati ad Abuja». D’altro canto, a nulla sono valse – soprattutto alla luce delle rivendicazioni di ieri da parte di Boko Haram – le dichiarazioni di pochi giorni fa del ministro dell’interno Abba Moro secondo cui le forze di sicurezza nigeriane sarebbero a un passo dal ritrovamento delle ragazze: «L’alto comando della Difesa sta facendo di tutto per ottenere la loro liberazione». Genitori e familiari delle studentesse restano cettici e continuano a esprimere rabbia contro le autorità.

Mentre comincia a farsi largo il timore che queste «sabine» nigeriane siano state prese come «mogli» dai leader di Boko Haram. Un’ipotesi altrettanto inquietante che riecheggia la nota pratica delle milizie ribelli del famigerato gruppo ugandese del Lord’s Resistance Army.