La figura dello studente lavoratore non è più marginale. Secondo un’indagine promossa dall’Unione degli Universitari (UdU) e Cgil e realizzata dalla Fondazione Di Vittorio sono oggi il 17% del totale. 365 mila iscritti all’università hanno anche un impiego, la maggior parte come commessi o camerieri. Tra le motivazioni addotte dagli studenti nel questionario presentato ieri alla Camera e somministrato a 13 mila universitari, non solo il desiderio di autonomia economica (88%) ma anche la necessità di sostenere i costi dello studio (83%) o l’intera sussistenza, in carenza di un supporto familiare (82%). Solo il 40% dei rispondenti ha dichiarato che potrebbe permettersi gli studi anche senza lavorare.

«Lavorare non è una scelta libera – ha commentato Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu – ma spesso obbligata per difficoltà economiche e carenze sul diritto allo studio». Gli studenti hanno sottolineato come questo abbia un «impatto terribile sulla vita accademica»: per il 65% dei rispondenti la socializzare con i colleghi in ateneo risulta impossibile o molto difficile; l’83% ha difficoltà a partecipare alle iniziative delle associazioni studentesche, il 61% a frequentare lezioni. La gran parte degli intervistati, di conseguenza, prevede che andrà fuori corso. «L’attività lavorativa svolta dagli studenti è caratterizzata da precarietà e difficoltà a organizzare i turni», ha sottolineato la segretaria confederale della Cgil Lara Ghiglione, rispetto a una occupazione saltuaria che non prevede particolari possibilità di carriera o ha carichi di lavoro e retribuzione inadeguati. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di salari netti inferiori ai 750 euro mensili. Per Ghiglione si rende quindi «necessario un deciso cambio di passo». «È urgente un intervento normativo che elimini le forme di lavoro più precarie e caratterizzate da bassi salari, per questo – ricorda la dirigente sindacale – abbiamo promosso i referendum per affermare che non deve esistere un lavoro sfruttato, non accompagnato da sicurezza, salario giusto e dignità».

Lo studio evidenzia anche l’impatto molto negativo della condizione di precarietà degli studenti lavoratori sulla psiche: il 78% degli studenti lavoratori lamenta stress, il 64% ansia e il 34% insonnia, il 20% del campione ha sofferto di depressione, il 13% di disturbi alimentari e il 4% di abuso di sostanze. Per il presidente della Fondazione Di Vittorio, Francesco Sinopoli, «chi per studiare deve lavorare affronta un doppio impegno che è fonte ulteriore di diseguaglianze sociali». «Numeri preoccupanti», per il pentastellato Antonio Caso che ha evidenziato come «da parte di questo Governo nulla sia stato fatto». Il Pd ha chiesto «un lavoro comune delle forze politiche per un intervento strutturale a sostegno del diritto allo studio», «non finanziato a sufficienza» per Nicola Zingaretti. Mentre per Elisabetta Piccolotti di Avs è urgente «garantire la gratuità dal nido all’università facendo una riforma del fisco progressiva sui patrimoni».