“Gli Stati uniti vietano TikTok? Bene, così saranno gli americani a dover usare le Vpn”. Non è un commento così raro da trovare sui social cinesi, in previsione di quanto potrebbe accadere oggi alla Camera Usa, chiamata ad approvare una legge che apre la strada alla messa al bando della popolarissima app di video brevi. Con i cittadini statunitensi che potrebbero essere costretti a utilizzare le reti private virtuali (le Vpn appunto) per accedere.

Nel frattempo, già da ieri in Cina non si possono più trovare WhatsApp e Threads. La celebre app di messaggistica e la nuova creatura di Meta (una sorta di X, ma collegato a Instagram) sono state rimosse dagli store di Apple su ordine del governo cinese.

Il colosso di Cupertino ha spiegato che l’indicazione è arrivata dalla potente autorità di regolamentazione internet per ragioni di sicurezza
nazionale.

“Siamo obbligati a seguire le leggi dei paesi in cui operiamo, anche quando non siamo d’accordo”, si legge in una dichiarazione di Apple alla Reuters, arrivata appena dopo il ritorno dall’Asia dell’amministratore Tim Cook, che tra Indonesia, Vietnam e Singapore ha rafforzato i legami in vista di una parziale diversificazione delle linee produttive.

Solo qualche settimana fa, Cook è stato anche in Cina, dove ha aperto un nuovo centro vendite a Shanghai e definito “critico” il ruolo del paese nel modello di business dell’azienda.

Secondo il New York Times, la cui stessa app è oscurata in Cina dal 2017, sulle due app di Meta sarebbero stati trovati contenuti ostili al presidente Xi Jinping.

In realtà, la disposizione potrebbe essere legata a una norma dello scorso agosto che impone a tutte le app disponibili in Cina di registrarsi presso una sorta di albo gestito dal governo. La scadenza per completare le registrazioni era il 31 marzo, con le nuove norme entrate in vigore il 1° aprile.

Rimosse anche la statunitense Signal e Telegram (sede a Dubai ma fondata dal russo Pavel Durov), entrambe note per l’alto livello di sicurezza della crittografia.

Va ricordato che né WhatsApp né Threads (così come Facebook e Instagram, tra gli altri) sono mai state ufficialmente accessibili in Cina.

Pur restando finora negli store virtuali, si potevano usare solo tramite Vpn. Secondo Appfigures, WhatsApp è stata scaricata 15 milioni di volte sugli iPhone cinesi negli ultimi 7 anni, Threads 470 mila volte. La stragrande maggioranza della popolazione cinese preferisce app
autoctone come WeChat.

Certo, resta il valore simbolico della rimozione. Sia da parte cinese, indiretta risposta al sempre più probabile divieto di TikTok, che da parte americana, col tempismo della divulgazione della notizia che sembra quasi “giustificare” l’odierno voto della Camera.

A spiegare bene il senso di “urgenza” a riguardo, la norma anti TikTok è stata inserita in un unico pacchetto con le proposte di legge sugli aiuti esteri per Ucraina, Israele e Taiwan. Un modo per ricevere il via libera immediato dalla Camera e forzare i tempi del voto (che potrebbe avvenire già la prossima settimana) al Senato, che sin qui era parso più scettico.

La prima bozza dava alla casa madre cinese ByteDance sei mesi di tempo per vendere TikTok ed evitarne il bando. Il nuovo testo concede invece nove mesi, che potrebbero diventare anche dodici con un periodo di grazia presidenziale di 90 giorni.

Joe Biden (sbarcato qualche mese fa sull’app per attrarre l’elettorato più giovane) ha già detto che firmerà la legge qualora venisse approvata dal Congresso, mentre Donald Trump si era detto contrario nelle scorse settimane.

Anche qui, la motivazione è il presunto pericolo per la sicurezza nazionale. Sebbene il disegno di legge pare avere sostegno bipartisan, alcuni senatori sostengono che il divieto soffocherebbe la libertà di parola. La stessa tesi sostenuta dall’azienda, che promette una battaglia legale e chiama a raccolta i 170 milioni di utenti americani per protestare.

Oltre ai diritti costituzionali, ci sono in ballo anche diversi soldi. TikTok sostiene che sono a rischio 300mila posti di lavoro, con danni miliardari per creatori di contenuti e piccoli imprenditori digitali.

Ma, tra chip e intelligenza artificiale, anche le app paiono ormai entrate nella sfida per la supremazia tecnologica.