«Dobbiamo spostarci? Più a destra di così non si può», «Vi richiamo all’ordine, anzi al doppio ordine visto il contesto», «Disponetevi a ventaglio, come si direbbe in gergo militare»: fin dalle disposizioni iniziali ai cronisti, prima che il duetto tra Matteo Salvini e Roberto Vannacci al Teatro di Adriano cominci, si capisce l’espediente retorico: usare parole di estrema destra mescolando le tattiche dico-non dico delle destre radicali dagli ottanta e i trucchi dei reazionari contemporanei che ammiccano a certi concetti in chiave postmoderna, quasi pop.

Si presenta il libro del leader leghista intitolato Controvento, e chi meglio del generale candidato assurto alle classifiche editoriali per il boom del suo Il mondo al contrario può essere di buon auspicio? Obiettivo dichiarato di Salvini per le elezioni europee è «avere una maggioranza senza la sinistra». Quindi, si augura che «nessuno nel centrodestra preferisce Macron a Le Pen». Poi prova a mettersi al traino della pace: «Chi sceglie la Lega sa che con noi nessun soldato italiano ed europeo andrà a combattere fuori dai nostri confini». L’impegno, in verità, viene smentito dall’appello marziale di Vannacci. Il graduato prestato alla politica invoca una «identità forte, che ci faccia sentire fieri di essere italiani o europei e che ci faccia dire che vale la pena di morire per l’Europa». Salvini si mette in riga ed elenca «gli ideali e e i valori» che li accomunano: «Identità, tradizione e difesa dei confini».

La fantomatica «deriva del politicamente corretto» incombe: «Negli ultimi anni stanno cancellando tutti i nostri simboli identitari per dare l’idea di un’inclusione che non c’è», sostiene il generale. Quali sarebbero questi simboli? Ovvio, interviene Salvini: «Le radici giudaico-cristiane». Ma tutto viene impacchettato con lo stile post-ideologico dei populismi e Vannacci non si sbilanciarsi sul trascendentale: «Anche se non sono molto religioso, so che da Capo Nord a Malta ci unisce la cristianità». C’è poco di trascendente e molto del pantheon dell’uomo medio nei due feticci assunti da Salvini per la sua personale campagna sui manifesti sei-per-tre: il leader leghista si impegna a difendere «la casa e l’automobile». L’arrocco nelle quattro mura, ultima trincea di piccoli e grandi proprietari di fronte alla crisi, era stato appannaggio di Silvio Berlusconi (che, non dimentichiamolo, cominciò la sua avventura da costruttore e venditore di case). Ora prova ad appropriarsene il leghista, quando promette che in tempo utile per le urne di giugno porterà in consiglio dei ministri «un provvedimento per regolarizzare e sanare le piccole irregolarità interne dentro alle mura domestiche». Il tema dell’auto, invece, accarezza l’inquietudine per la transizione ecologica e i motori elettrici: «L’Europa che per anni non ha fatto nulla per difendere i propri confini esterni ha approvato due norme su case e automobili che dovremo smontare». Dietro questa faccenda per i motori elettrici, sospetta, c’è «l’interesse economico del Partito comunista cinese» («C’è stato il Qatargate – dice a mezza bocca – Dunque mai dire mai»).

Si può fare finta che tutto ciò non avvenga? Lo sostiene una campagna social del Pd che invita ad ignorare Vannacci, con evidente riferimento alle teorie del linguista George Lakoff, che consigliò ai democratici statunitensi di non entrare mai nei frame concettuali dell’avversario repubblicano per non restarne ingabbiati. Qui però diverso. Perché ci sono voluti anni di propaganda iper-ideologica, di discorsi di estrema destra mascherati dal retequattrismo che tracima in ogni canale e detta l’agenda sui social, per fare in modo che un pezzo di Italia considerasse questi discorsi come una normale variante del senso comune. Vannacci, ad esempio, accampa con disinvoltura imbarazzante congetture para-xenofobe del genere: «La società multiculturale – sostiene – è contraddetta dal fatto che in un paese tutti ai stringono attorno ad un medesimo ideale e sono pronti a combattere per quello». Dunque, è la sua conclusione, «la società multiculturale contraddice la nazione sovrana e la patria». Questo tipo di discorsi non affonda solo le radici nei comizi da camerata che forse circolano tra un piantone e un altro tra le mimetiche della folgore. La paccottiglia reazionaria del Vannacci-pensiero viene fuori dalle bolle Facebook, dalle paranoie sulla cultura woke «che ci vuole fare vergognare di quello che hanno fatto i nostri padri e i nostri nonni». «Ti auguro di vendere quanto ho venduto io», dice il candidato. «Sono convinto che la tua comunità porterà alla Lega un grande valore aggiunto», ribatte Salvini. Che esattamente su questa scommessa si gioca il suo futuro politico.