«Leonardo sta diventando per Torino quello che una volta era la Fiat». Michele Lancione, professore ordinario di Geografia politico-economica al Politecnico di Torino, ha pubblicato a settembre scorso con la casa editrice Eris Università e militarizzazione. Il duplice uso della libertà di ricerca, in largo anticipo sull’attualità di questi giorni. «Quando l’ho scritto volevo aprire una discussione in ambito accademico, poi c’è stata un’accelerazione del dibattito dovuta al disastro della situazione palestinese che ha portato a una forte presa di coscienza tra gli studenti».

Nella prefazione ha scritto che voleva offrire loro uno strumento per «lottare per affermare la liberazione del sapere accademico dalle colonie militari».

Non immaginavo sarebbe diventato normale vedere la polizia dentro gli atenei e gli studenti manganellati per due cartelli. Si è ribaltata la prospettiva: l’università serve per avere spirito critico e protestare, invece la ministra Bernini dà ragione a quelli che l’hanno svenduta di fatto. Questo è successo perché da troppo tempo la ricerca è intrecciata con il mondo militare e con i servizi a esso legati, ma questo rischia di far perdere all’università il suo scopo di conoscenza. Leonardo lavora per fare profitto e non deve porsi questioni etiche. Le proteste degli studenti nascono da tutto ciò.

Per militarizzazione non intende solo la ricerca.

No, anche quel processo, cominciato in Occidente dopo l’11 settembre 2001, in cui si trasforma in militare ciò che non è, in primis i luoghi.

Nel libro si chiede se l’università pubblica possa fare ricerca tecnologica senza affrontare la questione del duplice uso.

Il trasferimento di un sapere o di una tecnologia dal campo civile a quello militare o viceversa è una questione difficile da controllare. Questa impossibilità di controllo viene usata come una scusa da chi è interessato a unire università e industria bellica, ci viene detto che collaboriamo con partner militari come Leonardo soltanto per ricerche civili ma è una posizione ipocrita. Faccio un esempio: se un’azienda trae profitto dagli armamenti sarà molto facile acquisire una tecnologia che manda i razzi su Marte anche per buttarli su Gaza. Ma dobbiamo sottolineare che, se la ricerca di base è definanziata, gli atenei sono quasi obbligati a cercare soldi così.

Questo, sembra di capire, vale in particolare per il Politecnico dove insegna.

Da quando il comparto dell’automotive non garantisce più lavoro e ricerca, Torino ha deciso di puntare sul settore dell’aerospazio militare. Il primo player è Leonardo. Il Politecnico che storicamente ha formato quadri, dirigenti e ingegneri per la Fiat ha visto una grande opportunità in questo nuovo settore. Nel farlo ha concesso a Leonardo i nostri saperi e le nostre tecnologie, gli ha fatto acquisire un vantaggio rispetto ai competitor a spese dell’università italiana e gli ha offerto una legittimazione culturale, un tecno washing.

Che ruolo ha la fondazione di Leonardo Med-Or, nel cui cda siedono dodici rettori di atenei italiani, in tutto ciò?

È l’esempio emblematico della militarizzazione dell’università. Bernini, forse in buona fede, si vanta di questa collaborazione e sbaglia. Il think tank presieduto da Minniti serve a Leonardo per posizionarsi sul mercato strategico del Mediterraneo e del Medio Oriente. È naturale che ci sia un interesse nei conflitti in corso, o futuri, di queste zone. Molti rettori adesso iniziano a domandarsi se il loro mandato sia quello di offrire consulenza al principale produttore italiani di armi e se questo impedisca un’analisi geopolitica sensata.

Non accade solo in Italia.

In tutta Europa ci sono programmi di finanziamento molto specifici che esistono a varie scale, come Horizon. In Italia nel 2022 è stato lanciato il Pnrm (Piano Nazionale della Ricerca Militare) che coinvolge ministero della difesa e dell’istruzione e università e ha come obiettivo «l’incremento del patrimonio di conoscenze della Difesa nei settori dell’alta tecnologia». In realtà serve per iniettare risorse statali e ricercatori pubblici nel comparto industriale militare. Ma se i soldi ci sono perché non metterli nella ricerca di base anziché buttarli così?

Lei è tra i firmatari della lettera che diversi docenti hanno mandato al rettore del PoliTo.

Abbiamo chiesto di prendere posizione sul pestaggio degli studenti dentro l’università, aspettiamo una risposta chiara.