Gli studenti della Columbia University non hanno indietreggiato e hanno preferito raddoppiare l’attacco: dopo la minaccia di sospensione e l’ultimatum della rettrice, hanno occupato un edificio del campus, la Hamilton Hall, sede dell’amministrazione centrale dell’università. Un luogo dall’alto valore simbolico: è lo stesso ufficio occupato nel 1968 dagli studenti che protestavano contro la guerra in Vietnam.

I MANIFESTANTI pro-Palestina hanno sbarrato le porte d’ingresso con sedie, bidoni dell’immondizia e scrivanie e hanno appeso degli striscioni fuori dalle finestre del secondo piano del palazzo, che affaccia sulla strada, proprio accanto all’entrata principale. Più sfidanti di così non potevano essere. Subito dopo le entrate dell’università sono state chiuse a tutti, stampa inclusa, che si è accampata davanti all’ingresso del campus, con una sfilza di telecamere puntate sugli striscioni e sulla fila degli studenti che, per entrare all’interno del perimetro della Columbia, devono passare attraverso maggiori controlli della polizia. L’ingresso è consentito solo agli studenti che dormono all’interno e a tre testate giornalistiche: New York Times, Cnn e Nbc.

Mahmoud Khalil, studente laureato e capo negoziatore per l’Apartheid Divest della Columbia University, dopo quasi due settimane di colloqui con l’amministrazione ieri mattina è tornato al campus, ed ha scoperto di essere stato sospeso. Il suo documento di riconoscimento accademico è stato bloccato: «Va contro le norme, non facevo parte di questo accampamento – ha detto Khalil – L’università mostra ancora una volta la casualità e le misure arbitrarie che sta adottando contro gli studenti».

LUNEDÌ le trattative si erano concluse senza un accordo, Khalil spiega che ora è in attesa di capire le intenzioni della rettrice, mentre dai vertici universitari partono le minacce: espulsione per chi ha occupato. «Non credo che oggi arriverà la polizia – dice Yu, visiting scholar taiwanese, anche lei bloccata fuori dalla facoltà – Tra due settimane ci sono le lauree, la rettrice deve riuscire a mantenere gli animi calmi per due settimane, poi sarà tutto più semplice. Quando la polizia è arrivata il movimento si è rafforzato. Finora la protesta è stata pacifica, mentre per entrare nell’edificio e occuparlo c’è stato bisogno di spaccare un vetro e questo può essere un appiglio per richiedere l“intervenuto degli agenti”».

AD AUSTIN in Texas gli arresti sono stati almeno 100 all’Università del Texas, di cui solo 25 sono andati a processo. Per procedere agli arresti le forze dell’ordine hanno usato spray al peperoncino contro gli studenti filo-palestinesi, dichiarando di aver agito in seguito al comportamento aggressivo dei manifestanti, che cercavano di resistere. Questa svolta della polizia di Austin non è piaciuta alle Nazioni unite che ieri hanno espresso «preoccupazione per il trattamento dei manifestanti filo-palestinesi nelle università statunitensi».

La portavoce dell’Ufficio dell’Alto Commissariato Onu per i diritti umani, Marta Hurtado, ha dichiarato: «Siamo preoccupati che alcune delle azioni delle forze dell’ordine in una serie di università appaiano sproporzionate».
Dall’Arizona è arrivata la notizia che quattro studentesse che manifestavano all’Arizona State University indossando il velo sono state arrestate:la polizia ha strappato loro il velo mentre le portava via. L’università ha detto che sta indagando, ma la notizia ha fatto il giro dei campus mobilitati, la cui lista continua ad allungarsi.

«NON SI TRATTA più di cedere o meno – dice Sarah, studentessa della New York University – Si tratta di avallare o meno un genocidio. Io come studentessa ebrea mi oppongo. Non pensavo di diventare un’attivista, non ho mai preso parte a manifestazioni e movimenti prima, ma questa cosa mi riguarda in prima persona. A casa mia non sono felici di questo. Mia nonna ha 82 anni ed è molto preoccupata che mi possa accadere qualcosa, mi dice spesso, riferendosi all’olocausto, che “se è già successo può succedere di nuovo” e che bisogna sempre difendere Israele. Io le rispondo che sono qui proprio per difendere Israele, da Netanyahu».