Sarà una missione veloce, quasi una toccata e fuga prima di volare nel pomeriggio a Bruxelles per un consiglio Ue straordinario dedicato alla guerra in Ucraina e alla crisi in Medio oriente. Ma per Giorgia Meloni non per questo il viaggio che oggi la porterà per la quarta volta in dieci mesi in Tunisia, dove è attesa da Kais Saied, è meno importante.

Con il presidente tunisino la premier parlerà di come rilanciare il piano Mattei (con lei ci saranno anche i ministri dell’Interno Matteo Piantedosi e dell’Università Anna Maria Bernini), ma soprattutto di flussi migratori, vero motivo che la spinge sull’altra sponda del Mediterraneo. Gli ultimi numeri forniti dal Viminale e relativi agli sbarchi sono infatti tali da preoccupare non poco palazzo Chigi, soprattutto quando mancano ormai poche settimane alle elezioni europee. Se da un lato si registra infatti una generale flessione degli arrivi avvenuti tra l’inizio dell’anno e il 15 aprile, tale da far segnare una diminuzione del 51,97% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (16.090 contro i 33.499 del 2023) e con la Libia come principale punto di imbarco, nelle ultime quattro settimane al ministero dell’Interno hanno registrato un’impennata degli arrivi che sono saliti a 9.539, pari al 60% del totale, e le coste tunisine sono state quelle dalle quali è partito alla volta dell’Europa il maggior numero di barconi.

Quanto basta al governo per passare dei canti di vittoria e dalla rivendicazione del Memorandum siglato a luglio 2023 con Saied come un successo, alla consapevolezza che occorreva correre al più presto ai ripari. Da qui la decisione di Meloni di intraprendere una nuova missione in Tunisia, preoccupata dalla possibilità che le condizioni del mare favorite dalla bella stagione spingano le migliaia di migranti subsahariani, moltissimi dei quali sarebbero accampati nella regione di Sfax, a partire verso l’Europa.

Va detto che per Meloni l’incontro con Saied si preannuncia tutt’altro che facile. Da giorni l’autocrate tunisino, che non si è mai fatto scrupolo di calpestare i diritti umani dei migranti, lancia messaggi per niente rassicuranti non solo all’Italia, ma anche a Bruxelles che con il Patto su immigrazione e asilo votato lo scorso 10 aprile vorrebbe rimandare quanti non hanno diritto alla protezione internazionale indietro verso l’ultimo Paese terzo attraversato prima di arrivare in Europa, come appunto è il paese Nordafricano: «La Tunisia non si piegherà ai progetti di quanti vogliono farne un luogo di transito o insediamento di migranti subsahariani», annuncia Saied in un video registrato durante una riunione del Consiglio per la sicurezza nazionale. Parole lette da molti come la minaccia di far partire i barchini con a bordo centinaia e centinaia di disperati trattati come oggetti.

Secondo alcune ong dietro le minacce ci sarebbe solo la volontà di chiedere più soldi all’Unione europea che a marzo ha stanziato una prima tranche di 150 milioni di euro come previsto dal Memorandum dello scorso anno. Ma il grosso della somma, paria a 900 milioni, sarebbe vincolato al via libera da parte del Fondo monetario internazionale a un prestito di quasi due miliardi di dollari legato a sua volta a una serie di riforme economiche che da due anni Saied si rifiuta di avviare. Come un cane che si morde la coda, in questo modo tutto rimane fermo e i migranti diventano – come spesso accaduto in passato, dalla Libia alla Turchia – uno strumento per fare pressione sull’Europa.

Nei giorni scorso una trentina di ong tunisine e internazionali hanno espresso «preoccupazione per le gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani subite migranti» in Tunisia, «nonché* per le sistematiche campagne che incitano all’odio e alla violenza». Tra i firmatari ci sono organizzazioni tunisine come la Coalizione contro la pena di morte, la Lega per i diritti umani, il Forum per i diritti economiche sociali, l’associazione Lina Ben Mhenni, ma anche EuroMed Rights, Watch the Med, Alarm Phone e l’Asgi.