Si sente nell’aria un forte profumo di fiori salendo verso Latronico, in provincia di Potenza a 888 m sul livello del mare. «Sono le ginestre anche se un po’ fuori stagione», mi conferma sorridendo Betta De Luca. Una donna che è una forza della natura, pragmatica, energica e schietta, un soffio vitale che narra di un’avventura iniziata con un evento doloroso, la dipartita del fratello Vincenzo, e che continua attraverso l’arte con la trasformazione di Latronico e dei suoi abitanti.

Betta fece ritorno da Milano al paese natio dopo 36 anni, in quel luogo arroccato su un’altura tra paesaggi verdi e aria fresca, dove ogni anno anche i vecchi amici riapparivano dalle loro lontananze migratorie. Fu a Latronico che organizzò nel 2005 una mostra e la presentazione del catalogo di alcune delle opere dipinte dal fratello Vincenzo, appassionato d’arte e prematuramente scomparso. L’idea di creare qualcosa in sua memoria l’aveva spinta a comprare nel centro storico del paese un appartamento e uno spazio per l’esposizione e per altre attività. Il successo dell’evento e la volontà di 17 soci fondatori portò alla costituzione dell’Associazione culturale Vincenzo De Luca, con l’intento di mantenerne vivo il nome ma anche «con lo scopo di sostenere percorsi e esperienze di persone interessate alle arti visive al fine di accrescere le opportunità di qualificazione, di scambio di esperienze e competenze».

Per i successivi due anni l’associazione, con Betta presidentessa, organizzò laboratori e momenti di discussione invitando artisti storici che si erano interessati al territorio lucano come Giuseppe Antonello Leone. Un artista e un poeta che negli anni Cinquanta partecipò all’ampio movimento culturale sviluppatosi in Basilicata, impegnandosi nella campagna contro l’analfabetismo al fianco di Rocco Scotellaro. La sua conferenza e poi il laboratorio attirarono non solo i ragazzi ma anche molti adulti di Latronico che iniziarono ad interessarsi all’arte contemporanea. «Il primo giorno eravamo in venti, dopo un po’ però tutti i cittadini volevano partecipare», racconta Betta.
È stato proprio l’aspetto partecipativo ad essere fondamentale sin dall’inizio manifestandosi nella sottoscrizione annuale dei soci che hanno investito nei diversi progetti senza il bisogno di richiedere fondi pubblici.

Sorride mentre ricorda gli esordi e l’incontro con il duo artistico Bianco-Valente: «Non li avevo visti prima anche se Giovanna è di Latronico, ma quando sono andata via era solo una bambina, però bastò poco per entrare in sintonia». Fu la relazione di Giovanna Bianco con il territorio a suggerire all’Associazione la richiesta di un coinvolgimento del duo che si concretizzò in un pubblico racconto della loro ricerca artistica. Dopo l’incontro il loro progetto per Latronico proseguì con una mostra diffusa, una serie di video-installazioni nel tessuto urbano del paese. «Le persone erano un po’ disorientate – continua Betta – dicevano che cosa vuol dire questo?» ma gli obiettivi dell’associazione si delineavano sempre di più verso la rivalutazione del borgo attraverso l’arte.

Da questa esperienza e dai dibattiti tra i soci prese, infatti, forma nel 2008 A cielo aperto, progetto di arte pubblica a cura di Giovanna Bianco, Pino Valente e Pasquale Campanella, per portare artisti a vivere il borgo, l’ambiente montano, la sua gente e per lasciare permanentemente delle opere creando un museo «A cielo aperto». Così negli anni Latronico ha visto una trasformazione di idee e di stimoli, venendo coinvolta anche suo malgrado: «Qualcuno ci ha dato in comodato d’uso il proprio appartamento per ospitare gli artisti, altri lo spazio per il laboratorio, alcuni ci hanno fornito gli strumenti musicali … la gente quasi si spaventava quando mi vedeva per paura che chiedessi qualcosa», ride di gusto Betta consapevole di aver contribuito al mutamento. «Prima non c’erano B&B ora invece ce ne sono una quindicina e la gente è abituata a cose che prima non aveva mai visto, questo aspetto ha cambiato anche me».

La tigre
In più di un’occasione la partecipazione cittadina è diventata parte dell’opera d’arte ben oltre le intenzioni iniziali degli artisti, come quando fu richiesto l’intervento delle forze dell’ordine per l’opera Richard Parker a Latronico, di Giuseppe Teofilo. Una serie di manifesti, affissi durante un’incursione notturna dell’artista, che riportavano la scritta «Pericolosa tigre a Latronico».
«Avvisai Giuseppe – racconta Betta – che la gente si era spaventata pensando ad una tigre fuggita dal circo e lui mi rispose che il progetto era riuscito» sebbene il senso dell’operazione racchiudeva altre e più profonde accezioni.

Le opere hanno iniziato anche a profilare un’identità cittadina cavalcando la scia di un bisogno sopito, così il campanile che detta le ore del giorno diventa guida notturna, un Faro dalla luce rossa, di Michele Giangrande che dal 2009 ad oggi è visibile ogni sera da lontano quale segnale perenne per rimembranze locali di appartenenza.

Un censimento vero e proprio portò alla definizione di Una Bandiera per Latronico di Eugenio Tibaldi che sventola quale simbolo di rappresentazione e legame territoriale. Il suo progetto di arte partecipata, sviluppatosi in circa due anni (2010-2011), vide l’invio di un questionario alla popolazione con la richiesta di una descrizione fisica ed emotiva del paese. Ne risultarono cinque bozzetti da cui poi venne scelta, tramite una votazione corale, la bandiera vincitrice che ora è nel punto più alto del paese.
Anche per l’intervento di Stefano Boccalini (Una parola su Latronico 2011) è stato fondamentale l’apporto degli abitanti chiamati a definire, su cartoline distribuite dall’artista, un vocabolario sentimentale il cui lessico affettivo, intagliato nel ferro, si legge lungo le mura di alcuni dei vecchi edifici del centro.

Bianco-Valente, «Ogni Dove», A Cielo Aperto 2015

La trasformazione del paesaggio, del costone roccioso su cui si adagia Latronico, attraverso l’installazione del 2015 con la scritta in metallo bianca Ogni dove, opera di Bianco-Valente, veicola alla riflessione di un altro lato dell’identità territoriale: l’emigrazione. Nel tempo gran parte della comunità si è allontanata dal paese alla ricerca di nuove prospettive interrompendone lo sviluppo e la continuità storica. L’opera è visibile da diverse angolazioni e quasi come un monito ricorda il perenne flusso di energie che si propaga dal fulcro affettivo ma che contemporaneamente ne rimane ancorato.

Negli anni l’Associazione Vincenzo De Luca ha continuato a sviluppare diverse progettualità, insieme A cielo aperto sono nate altre esigenze che spontaneamente hanno portato ad una serie di eventi, laboratori e performance di diverso genere come per la musica elettronica. Francesco Puppo, uno dei soci, ha il sorriso dolce, una voce bassa e calma, conosceva l’associazione ma fu solo dopo aver partecipato al laboratorio di musica elettronica di knn (Renato Grieco), che iniziò a collaborare e successivamente ad occuparsi, insieme a Giuseppe Giacoia, dell’aspetto musicale del progetto. Il suo è un racconto poetico della musicalità del luogo:

«Con knn (Renato Grieco) abbiamo iniziato un percorso di ricerca: la registrazione di suoni ambientali. Durante il suo laboratorio ognuno cercava, registrava e condivideva un suono che poi veniva analizzato anche come esercizio di riscoperta. Le basse frequenze che si possono udire nel silenzio di un piccolo paesino sono una riscoperta, ci sono note che vengono fuori dalle case, il vento tra le strade, quel sibilo elettrico dei lampioni vecchi per lo sbalzo di tensione. I suoni venivano ascoltati tutti insieme. All’epoca lavoravo alle terme e portai la registrazione di una macchina per la ventilazione polmonare che fa un fischio stridulo, buffo e infatti scoppiammo a ridere. Per la performance finale uscimmo tutti insieme per circa un’ora e «suonammo» il paese, andammo in giro producendo melodie con le varie cose che trovavamo, toccando le porte o sbattendo oggetti vari che incontravamo».

I vari progetti si sono sviluppati in un arco temporale sempre diverso. Gli artisti sono andati via e sono ritornati a Latronico diverse volte, ne hanno indagato la storia, le unicità e hanno instaurano rapporti con la comunità. Solo dopo tali interazioni hanno presentato pubblicamente la propria idea per poi portarla a termine e offrirla al paese durante il periodo estivo, quando la piazza e i vicoli si rianimano per il ritorno degli studenti, degli emigranti e dei vacanzieri. Anche le permanenze degli artisti hanno preso diverse direzioni modificando le modalità nel corso degli anni. Dal 2019 si è cercato di offrire una prospettiva diversa, un vissuto del luogo che si conciliasse con l’anima riflessiva e silente del borgo, tagliato dal vento e dalla pioggia e svuotato dalla leggerezza e dalla folla estiva. Così nasce Stato in luogo – Programma di residenze artistiche come geografia tra identità e territorio a cura di Giovanni Viceconte, indirizzato soprattutto agli artisti più giovani che si confrontavano con la lettura di un territorio e di una progettualità.

Tuttavia le discussioni in seno all’associazione e soprattutto tra i curatori hanno continuato a porre domande sulle modalità di condivisione e di partecipazione con la comunità locale. «È un lavoro pensato verso i cittadini cercando di capire che la comunità è fatta di geografia e di persone vere», afferma Pasquale Campanella. In quest’ottica prende forma il progetto del 2022 A Cielo Aperto in una Stanza, a cura di Bianco-Valente e Pasquale Campanella, interazioni di 6 artisti, Veronica Bisesti, Nicola Guastamacchia, Francesca Marconi, Patrizio Raso, Apo Yaghmourian, Elena Zottola, con altrettante famiglie di Latronico. Ne sono nate non solo opere d’arte ma storie di amicizia e di scoperte biografiche, racconti emozionati guidati dall’arte.

Il viaggio
Sono anni che Angelina Pilotto è coinvolta nelle attività dell’associazione di cui il marito è socio. Ha preso parte a diverse presentazioni degli artisti che l’hanno aiutata ad avvicinarsi al linguaggio dell’arte contemporanea «Avevo partecipato ad una riunione pubblica dove si chiedeva di accogliere un artista e ho subito accettato ospitando Apo Yaghmourian.

Erano tutti artisti bravi ma questo ragazzo mi colpì particolarmente perché aveva lasciato la sua famiglia in Giordania per studiare a Napoli, dove tuttora vive. Apo veniva a mangiare da me, parlavamo molto e si è instaurata una bella amicizia, ci sentiamo anche ora al telefono. La sua opera è a casa mia, ovviamente visibile su richiesta, è la foto di un conglomerato, un pezzo di asfalto, che galleggia sull’acqua, in mezzo al mare.
Il titolo è Viaggio perché è stato un vero e proprio viaggio nelle nostre storie. Ho iniziato a raccontare di mio marito, di come ci eravamo conosciuti e del suo lavoro. Era geometra ed ha sempre lavorato presso una ditta di Napoli che faceva strade, ovviamente con l’asfalto. Ogni settimana a casa, il suo viaggio non era per conoscere posti nuovi ma per ritornare». L’opera di Apo Yaghmourian sembra raccontare anche un altro attraversamento, il viaggio compiuto dall’artista per giungere in Italia, il mare è probabilmente il Mediterraneo, luogo di traversate spesso senza ritorno.

Pina Miraglia racconta con maggior timidezza e discrezione la preziosità del suo incontro con l’artista Veronica Bisesti e la nascita di una relazione tra vissuto, amicizia e arte. «Giravamo insieme, chiacchieravamo e pranzava a casa mia, sono stata anche a Napoli a vedere le sue mostre. L’opera è uno stemma in onice posto sulla porta di ingresso di casa su cui sono incise due mani che si incrociano. Ho avuto una vita difficile ed ho dovuto rimboccarmi le maniche, penso che la sua opera voglia rappresentare questo trascorso». Trovando ispirazione nel libro La città delle dame di Christine de Pizan, del 1405, la Bisesti racchiude nel gesto scolpito la forza interiore, la determinatezza e l’indipendenza della donna che da sola è riuscita a prendersi cura della propria famiglia, qui metafora dell’universo femminile.

La storia della famiglia Gigante-Pozzo ha assunto accezioni magiche e fiabesche. Così l’intervento di Nicola Guastamacchia che ha nascosto pomelli e chiavistelli nel grande giardino della famiglia incastrandoli negli alberi, con l’intenzione di donare chiavi di accesso a mondi fantastici e proteggendone e trasmettendone il segreto attraverso i tatuaggi di quei sigilli.

Nel fiume
Francesco Puppo ha condiviso invece con Patrizio Raso un altro tipo di percorso: «Durante l’incontro di presentazione abbiamo iniziato a parlare – racconta Francesco – e si sono incrociate le nostre vite che in parte avevano storie in comune, cioè la relazione con i padri. L’opera è stata una performance continua: tutti i giorni andavamo a passeggiare con indosso gli abiti che erano dei nostri genitori, l’uno fabbro e l’altro elettricista. Un giorno dopo aver camminato circa 20 km eravamo sudati e abbiamo lavato i nostri vestiti nel fiume in una specie di rituale. È importante indossare certi abiti, fanno parte di noi».

Diversa è stata la partecipazione di Elena Zottola. «Ero sia artista che parte della comunità, perché sono di Latronico. Ho lavorato con la famiglia Hamdan–Forastiere, Anna latronichese e il marito venuto da Damasco 30 anni fa. Mi hanno raccontato la loro vita. Cercavo un punto in comune tra queste due culture, cercavo foto, un archivio visivo di ricordi ma non li ho trovati. Il mio lavoro è stato ricreare un’immagine della loro infanzia, non attraverso le fotografie ma con simbologie. Ho scoperto un aspetto che avevano in comune era il gioco della campana che entrambi facevano da piccoli. Studiandone le origini mi sono resa conto che esiste in tutto il mondo ed ha radici antichissime, legato anche a rituali di trasformazione. Allora abbiamo realizzato insieme una versione della campana ispirata alla loro storia, con numeri indiani e arabi, ci abbiamo giocato fuori disegnandola a terra e ne ho anche realizzato un tappeto che ora è a casa loro».

L’artista Francesca Marconi ha incontrato l’ambiente e le storie della famiglia Conte-Ponzo di cui era ospite. La loro casetta nel bosco usata da Nicola per le sue arnie, ha ispirato l’artista nella realizzazione di un alveare la cui forma riproduce in scala non solo la costruzione campestre ma ripropone un nuovo ambiente relazionale per le api. Per la presentazione del progetto alla comunità hanno distribuito dei piccoli vasetti di miele e Nicola ha definito così il proprio cambiamento dopo questa esperienza: «Per giorni ho cercato di capire cosa mi sfuggisse di questo progetto ma non riuscivo a capirlo, probabilmente per la mia scarsa sensibilità artistica. Ora invece credo di aver imparato la lezione, e questo solo grazie a Francesca … Compito dell’artista è prospettarci una lettura diversa, l’arte ci permette di guardare non un mondo diverso ma lo stesso mondo visto da un’altra prospettiva, che sia anche quella delle api».
Da agosto 2023 l’Associazione Culturale Vincenzo De Luca fa parte del terzo settore e grazie all’autofinanziamento, che negli anni ha dato la possibilità di produrre le opere che sono a Latronico, ha acquisito una sede nel centro storico. Un luogo aperto alla multidisciplinarietà, un punto di arrivo di un percorso e la partenza per un ripensamento perché, come afferma Campanella: «Le residenze nelle case dei cittadini sono state un modo per narrare le storie delle persone e del luogo inoltre ogni laboratorio andava configurandosi sul territorio.

Questo ci sta portando a riconsiderare il futuro del progetto e del nuovo spazio perché sia maggiormente partecipato. Abbiamo parlato di una residenza di comunità dove i cittadini non solo partecipano a progettualità gestite dagli artisti ma si fanno essi stessi promotori in autogestione di bisogni culturali».