Dopo settimane di negoziati coi propri alleati di centrodestra, il governo di Javier Milei è riuscito in settimana ad ottenere la sua prima vittoria in parlamento con l’approvazione alla Camera della nuova legge di riforma dello stato. Una manovra che consentirà al presidente di ristrutturare buona parte degli enti pubblici e di privatizzare ben undici aziende statali, tra cui la linea aerea di bandiera, Aerolíneas Argentinas, e le tv e radio di stato. Inoltre, la legge offre ampi benefici fiscali agli investitori stranieri e cambia le regole del mondo del lavoro.

SI TRATTA, È VERO, di una versione light del progetto bocciato a febbraio dalla stessa camera, ma non per questo meno aggressivo. Il capitolo dedicato alla riforma del lavoro ne è forse l’esempio più eclatante: eliminate le multe per le imprese che assumono lavoratori in nero ; soppressi i diritti dei lavoratori di aziende con cinque impiegati o meno, considerati a partire d’ora «collaboratori» e non dipendenti; esteso il «periodo di prova» da 3 a 9 mesi per i nuovi contratti, e le aziende potranno negoziare anche la soppressione della liquidazione per licenziamento, sostituita da un fondo di disoccupazione a carico del datore di lavoro dell’impiegato. Il tutto alla vigilia del primo maggio, e a pochi giorni dallo sciopero generale annunciato dalle Centrali Sindacali a livello nazionale per giovedì prossimo.

C’è un altro punto che è stato approvato e di cui si è parlato poco, pur essendo estremamente grave», aggiunge Luis Campos, ricercatore dell’Istituto di Studi e formazione della Central de los Trabajadores Argentinos, una delle due confederazioni sindacali nazionali del paese, e autore di La Fortaleza, libro che ricostruisce la storia del sindacalismo argentino dal 1945 al 2001. «Sono stati posti ostacoli molto forti – dice – alla riassunzione di lavoratori licenziati per motivi sindacali».

CAMPOS SPIEGA che l’attuale legislazione argentina prevede un’aggravante per i casi in cui un’azienda licenzi un dipendente per motivi sindacali, e permette ai lavoratori di fare ricorso per essere nuovamente assunti. «In Argentina vi sono stati moltissimi casi di questo tipo negli ultimi 20 anni, specialmente nelle grandi aziende, condannate in sede giudiziaria per comportamenti antisindacali. La nuova legge invece prevede semplicemente che nel caso di discriminazione il datore di lavoro debba pagare anche il doppio della liquidazione, ma non è tenuto a riassumere. È evidente che il testo è scritto dagli avvocati di alcuni studi legali che lavorano per le grandi corporation e conoscono molto bene questo tipo di questioni».

La legge apre le porte anche a una riforma del sistema pensionistico: «Si pretende di andare verso un sistema che garantisca una copertura universale di base molto bassa, che ogni lavoratore poi debba completare con un sistema di capitalizzazione privata». Il testo della legge abroga la cosiddetta moratoria previsionale, un norma che consentiva agli over 60 che non avevano i contributi sufficienti per aspirare a una pensione, di accedere comunque al sistema saldando a rate il debito col fisco per gli anni non lavorati. La riforma obbligherà 1,5 milioni di argentine – il 90% infatti sono donne – a iscriversi a un sussidio universale per la maggior età dopo i 65 anni. «Una trasposizione velata dell’età pensionabile», segnala Campos.

IL FILO CONDUTTORE della riforma votata martedì, secondo Campos, sta nel rendere più flessibile il mercato del lavoro, in modo che gli industriali possano adattarsi nel modo più rapido possibile alla fluttuante economia argentina. «Se l’attività cresce, il pacchetto approvato permette alle imprese di assumere molto rapidamente, in maniera molto precaria e senza troppi impegni a futuro. E se l’attività invece si contrae, la nuova legislazione permette licenziamenti rapidi, a basso costo, e in certi casi addirittura gratis. L’idea è che l’attuale incertezza che regna nel ciclo economico argentino si sposti dagli imprenditori ai lavoratori».

La legge è frutto del consenso che il governo ha ottenuto da un settore non indifferente del sindacalismo argentino, che in cambio dell’eliminazione delle riforme che Milei aveva inizialmente voluto al finanziamento dei sindacati, considerati parte della «casta», alla stregua di parassiti dello stato, ha dato il beneplacito al pacchetto approvato alla Camera. «È una situazione molto simile agli anni ’90», sottolinea Campos, che ricorda il sostegno dato dai principali sindacalisti al governo ultra-liberista di Carlos Menem (1989-1998) in cambio di certe concessioni corporative.

È proprio per questo, e per il rinnovato sostegno raccolto da Milei tra i governatori di molte delle provincie argentine, che si dà per scontata ormai l’approvazione della manovra in Senato nelle prossime settimane.