Silvia Albano, giudice del tribunale di Roma e presidente di Magistratura democratica, venerdì a Palermo si aprirà il congresso dell’Anm. Il titolo, «Magistratura e legge e tra imparzialità e interpretazione», dice molto di quello che sarà. Partiamo da qui: da cosa si deduce che un magistrato è imparziale?
Dai suoi provvedimenti. Cioè, non dal fatto che questi possano essere graditi o sgraditi a una parte, ma dal fatto che non si debbano mai usare due pesi e due misure. È bene che il tema dell’imparzialità sia all’ordine del giorno di questo congresso, perché è il caso di smascherare alcune ipocrisie. Faccio un esempio personale: i giornali di destra mi hanno descritta come una giudice «comunista e pro migranti» per la questione delle riammissioni informali dei migranti in Slovenia. Gli stessi giornali, poi, mi hanno indicato come esempio di imparzialità quando ho rigettato la domanda di risarcimento di un mio collega, l’ex giudice Antonio Esposito, contro Daniela Santanchè. Non credo che dichiarare che il proprio codice di valori si fonda sulla costituzione e sulle carte sovranazionali e sulla necessità di farle vivere nella giurisdizione significhi essere parziali.

Sullo sfondo del congresso sembra esserci il caso della giudice Iolanda Apostolico…
Le sezioni unite della Cassazione mi pare abbiano messo un punto su quella vicenda: nella sua attività interpretativa, insomma, è venuto fuori che Apostolico non avesse poi tutti i torti. Le sezioni unite hanno rilevato un contrasto tra le norme interne e la direttiva europea e hanno sollevato la questione pregiudiziale: sono giudici di ultima istanza e non potevano fare altro, mentre Apostolico, in quanto giudice di merito, aveva la facoltà, anzi il dovere, di disapplicare la norma interna.

Apostolico fu anche oggetto di una campagna di denigrazione perché partecipò a una manifestazione davanti alla nave Diciotti al porto di Catania.
I giudici, come chiunque, hanno le loro idee, i loro valori, i loro orientamenti culturali… C’è una certa dose di ipocrisia nel dire che per apparire imparziale un giudice non dovrebbe manifestare le sue idee: non è che non manifestare le proprie opinioni significa non averne. Ecco, i cittadini preferiscono sapere o non sapere come la pensa un giudice? Poi, ripeto, l’imparzialità di un giudice si valuta dai suoi provvedimenti, quando esercita la giurisdizione il giudice deve fondare la propria decisione sulle norme dell’ordinamento che è fatto non solo dalla legge ordinaria, ma anche dalle carte costituzionali.

Pare, ma la prudenza è d’obbligo visti i mille annunci e i mille rinvii sul punto, che il governo si appresti a varare la sua riforma della giustizia. Come la vede?
Non c’è ancora un testo con il quale fare i conti, ma mi sembra che sia stia prendendo le mosse dai disegni di legge costituzionale sulla separazione delle carriere. Con la riforma Cartabia, di fatto la possibilità di passare da una carriera ad un’altra si è molto ridotta e la percentuale di chi sceglie di farlo è pressoché irrilevante. La parte più preoccupante di queste proposte di legge costituzionale non è questa, ma come ad esempio si ridisegna il Csm, l’organo di garanzia dell’indipendenza della magistratura, aumentando tra l’altro il numero di componenti di nomina politica, che diventano la metà. Diciamo che questo tema si inserisce in un quadro più generale e molto preoccupante.

Che quadro?
Un quadro in cui i contropoteri previsti dalla Costituzione vengono visti con sempre maggiore sofferenza. Penso alla libertà di stampa, per esempio. Penso all’abolizione dell’abuso d’ufficio, anche. C’è una profonda insofferenza verso i controlli e questo rischia di snaturare il sistema democratico. Non è solo l’attacco all’indipendenza della magistratura, che c’è e resta grave. Prendiamo il premierato, che porta con sé anche una riforma della legge elettorale in senso maggioritario da inserire direttamente in Costituzione. Questo significa che i quorum previsti per la nomina dei componenti del Csm e della Corte costituzionale non sarebbero più in grado di garantire il pluralismo dei componenti di nomina politica, perché sono stati pensati quando c’era una legge elettorale proporzionale. Il rischio concreto è che si arrivi a uno strapotere della maggioranza di turno, senza più limiti, proprio quello che i costituenti, usciti dall’esperienza del fascismo, volevano evitare.

Questo governo sostiene di essere garantista. Però ogni volta che si parla di amnistia o di indulto respinge queste ipotesi quasi con sdegno.
C’è una situazione nelle carceri che non è più tollerabile, per i suicidi e i per i tentativi di suicidio, ma anche perché spesso sono luoghi in cui è impossibile realizzare il fine costituzionale della pena. Quindi vedo bene amnistia e indulto. Non risolvono tutti i problemi e il tema del carcere va affrontato in maniera strutturale, pensando anche a un modello di espiazione delle pene non più «carcerocentrico», ma siamo di fronte a un’emergenza, alla necessità di garantire la dignità della persona durante l’espiazione della pena.

Chiudiamo tornando sul congresso dell’Anm. Com’è il rapporto di Magistratura democratica con Area democratica per la giustizia?
Direi che è un rapporto «risolto», non è un tema all’ordine del giorno. Area resta un gruppo con cui abbiamo una affinità culturale e siamo alleati in molte battaglie. Speriamo poi che tutta la magistratura si renda conto della situazione che stiamo vivendo.

E secondo lei la magistratura se ne sta rendendo conto?
Sono convinta che il corpo della magistratura sia consapevole della gravità del momento. Anche Magistratura indipendente non potrà sottrarsi dal prendere posizione. Questo anche se al Csm spesso è alleata con i laici dell’area di governo, con la creazione di maggioranze che sembrano voler pregiudizialmente precludere che magistrati di un orientamento culturale ritenuto non omogeneo possano accedere a incarichi dirigenziali. Penso però che anche Magistratura indipendente dovrà prima o poi fare i conti con la propria base. Che sa bene qual è la posta in gioco: la difesa dell’indipendenza della magistratura non riguarda i magistrati, ma i cittadini e i loro diritti. E il pluralismo anche dentro la magistratura è sempre stata una ricchezza che ha permesso alla giurisdizione di evolversi.