C’era nebbia fitta, la notte di dicembre del 1972 in cui Roberto Zamarin morì in un incidente stradale vicino ad Arezzo. Il giovane grafico stava correndo dopo aver ritirato dallo stampatore copie fresche di «Lotta Continua» da portare nella sua Milano. Con lui, se ne andava anche il metalmeccanico Gasparazzo, raro eroe dei fumetti «Working Class». Un anno dopo la sua morte, così lo ricordava il giornale: «L’assenza di ogni intellettualismo, il rigore politico capace di esprimersi nella più cordiale adesione umana ai sentimenti e ai pensieri della classe operaia (…) coincidevano (…) con il suo modo di essere comunista (…) rifiutando ogni concezione “eroica” e aristocratica dell’impegno politico».

Emiliano Pagani

TANTA COSTRUZIONE dal basso e un bel po’ di nebbia anche in Nemici del popolo, romanzo grafico scritto da Emiliano Pagani e disegnato da Vincenzo Bizzarri che riporta il fumetto alla catena di montaggio. Ma la foschia è in gran parte metaforica. «il titolo è ironico», spiega il cinquantacinquenne sceneggiatore livornese, abituato a barcamenarsi tra lavoro intellettuale, fabbrica e turni «perché con i fumetti, se non sei Zerocalcare, non si campa». La lotta di classe è finita, e a giudicare dal volume edito da Tunué può considerarsi persa. «Negli ultimi anni c’è stata una guerra rivolta dall’alto verso il basso in ogni ambito, dall’economia, al lavoro, alla giustizia e all’istruzione: ha stravolto l’idea che ci facciamo della società, della famiglia, di noi stessi. Ha sfruttato ogni crisi, tsunami, attentato, recessione, pandemia. Ha usato qualunque arma, dalla rivoluzione informatica alla tecnologia del debito. Sono questi i nemici del popolo». Un bel ritorno alle origini, per un linguaggio che salvo rare eccezioni sembra aver abbandonato ogni ambizione politica per rifugiarsi nell’immaginario nerd. «Sono anni che divento sempre più insofferente alle derive pop del fumetto. Sigle da cartoon, discussioni colte su personaggi di fantasia… il mondo reale sembra il grande escluso dalla narrazione a fumetti. E anche quando vi rientra, lo fa solo attraverso piccole storie quotidiane e drammi interiori che quasi sempre coincidono con quelli degli autori. Perciò sentivo l’urgenza di fare qualcosa di diverso e più forte. Ma la scintilla che ha dato origine a tutto è stato il licenziamento collettivo dei lavoratori della Gkndi Campi Bisenzio». Una picconata ai diritti dei lavoratori di cui si è parlato molto sul nostro giornale e che ancora oggi, a tre anni di distanza, continua a tradursi in molte iniziative di lotta.
E un ambiente che Pagani e Bizzarri hanno immortalato sulla pagina disegnata in maniera minuziosa e vivida proprio a partire dalle esperienze personali dello sceneggiatore. «Ho insistito molto con Vincenzo sulle atmosfere, i dialoghi, ma soprattutto la caratterizzazione dei personaggi: non potevano essere figurine, ma persone reali in grado di parlare e agire in maniera credibile. Nessun romanticismo, nessun compiacimento per lettori proletari, ma anche nessun turismo di classe per lettori della sinistra salottiera». Al centro della scena, come ai vecchi tempi, la non facile dialettica tra sfruttatori e sfruttati. Che però stavolta non si infiamma nei dialoghi senza costrutto tra operai e padronato, volutamente escluso dal discorso, ma nella guerra a bassa intensità tra i diseredati. «Negli ultimi anni, il naturale conflitto tra sfruttati e sfruttatori è stato fatto deflagrare in mille conflitti minori: generazionali, razziali, di genere… I diritti che i lavoratori si sono conquistati in decenni di lotte vengono fatti passare per privilegi a danno dei giovani in cerca di lavoro», spiega l’autore. «Quindi, i veri avversari dei protagonisti sono i protagonisti stessi, che non sanno unirsi e lottare per un obiettivo comune ma, anzi, si fanno divorare da rancori e frustrazione, finendo per massacrarsi tra di loro».

DA QUI la «caduta agli inferi» di Fabio, giovane protagonista della storia che, persa ogni speranza nella «lotta collettiva», è tentato di prendersi quello che vuole seguendo la scorciatoia apparentemente più immediata e gratificante dell’illegalità. Quello che succede dopo prende vita nel segno sintetico ed estremamente evocativo di Vincenzo Bizzarri, già autore di altre storie di marginalità come Gli assediati, dedicata allo sgombero di una casa popolare, o il noir molto sui generis Nel paese dei tre santi. «Avevo letto i primi due fumetti disegnati da Vincenzo e scritti dal bravissimo Stefano Nardella e mi erano piaciuti molto. Si tratta di storie corali, di personaggi ai margini, ambientate nelle periferie degradate di alcuni paesi del sud. Vincenzo aveva il tratto e la forza espressiva che cercavo per un’opera del genere e ha fatto un lavoro incredibile». livello tematico, invece, il modello è quello del cinema italiano degli Anni ’60 e ’70. Ma non quello “civile” di Vencini, Rosi o Petri: «Io sono cresciuto e mi sono formato con la commedia italiana. Quasi tutto quello che faccio nasce da lì». Tanti salutari colpi sotto la cintura, dunque, e niente sconti per nessuno. Anche e soprattutto per la Sinistra attuale. «A mio avviso, la Sinistra ha perso la capacità di coinvolgere i lavoratori dando loro una speranza, un obiettivo comune. I suoi rappresentanti parlano di Pace, ambiente e diritti in modo vago, ma dando l’impressione di non voler affrontare davvero i problemi. Per dire, la transizione energetica è necessaria? Certo. Ma che fine facciamo fare alle decine di migliaia di operai italiani che lavorano nel comparto auto, visto che la produzione di veicoli elettrici avviene tutta in Cina? Son queste le cose delle quali dovrebbe occuparsi la Sinistra, invece di lasciare il campo a gente come Salvini».

VERREBBE da dire che non si sa più a che santo votarsi, se non fosse che Pagani ha già bastonato anche quell’ambiente con il suo Don Zauker, ora di nuovo sugli scaffali con Andate in pace, raccolta delle storie uscite originariamente su «Il Vernacoliere» nei primi Anni 2000. Un’occasione per ribadire una volta di più la funzione del fumetto politicamente impegnato e politicamente scorretto. «Quando i margini della libertà espressiva rischiano di restringersi, bisogna rivendicarne l’ampliamento. La vita reale non è un Social. Le cose che non ci piacciono dobbiamo imparare ad affrontarle, elaborarle e metabolizzarle, fa parte del processo di crescita all’interno di una comunità. Questo, naturalmente, sempre restando nell’ambito delle opere d’ingegno». Per dirla con Mann, «Tutto è politica»: quando occorre, per fortuna, anche la Nona arte.